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Le Marche secondo Il Conte Villa Prandone: vino e famiglia

Se per fare le Marche prima bisogna fare i marchigiani, allora la famiglia De Angelis da Monteprandone certamente è sulla buona strada. Siamo nel Piceno ed è qui che quattro fratelli -vignaioli da tre generazioni- scelgono di cambiare le sorti della narrazione viticola regionale puntando a raccontare nel bicchiere una zona viticola d’appeal non solo per l’estero, anche per l’Italia alla ricerca dell'eccellenza.

Si chiamano Walter, Emanuele, Marina e Samuel De Angelis, sono loro oggi al timone dell’azienda Il Conte Villa Prandone. Non certo novellini, ma imprenditori che hanno saputo mettere a frutto le esperienze dei nonni prima e dei genitori poi, sempre presenti nella narrazione aziendale e personale. I quattro stanno cercando di affermare un’immagine del vino marchigiano importante, complessa e piacevole non solo a tavola, anche in formato “da meditazione”. Qual è la loro idea? Qualitativamente semplice ed efficace, proprio come un invito a entrare a bersi un calice di Rosso Piceno.

Benvenuti nel Marcabruzzo

Il territorio è quello del Piceno, precisamente a 5 chilometri dalla costa di San Benedetto del Tronto e a poca distanza dal confine abruzzese. Lo si capisce ammirando il panorama dalla cantina, dove Controguerra sembra proprio a due passi. Una posizione strategica che influisce sui vini, dandogli una forte componente salmastra che accomuna bianchi e rossi senza mai risultare “di troppo”. Gli ettari di vigneto -negli anni cresciuti secondo un investimento lento e ragionato- sono 60 circa attualmente, posizionati all’altezza di 250 metri s.l.m. rivolti verso i Monti Sibillini, lontani solo pochi chilometri. A dare un’impronta essenziale ai vini di famiglia è l’importante escursione termica che conferisce un carattere deciso, proprio come i marchigiani duri e puri.

Ogni etichetta racconta il territorio in diverse sfaccettature che cambiano col tempo e anche col climate change, problema da arginare preservando ciò che ancora si può, ad esempio giocando d’anticipo, cercando di sfruttare le esposizioni più ventilate per far sì che le vigne trovino beneficio. Un’opera di cooperazione tra la parte agronomica curata da Walter e Samuel e quella enologica, portata avanti dall’enologo Nicola Tucci che crede nelle Marche dell’autoctono al 100% “Non dobbiamo aggiungere ricerche enologiche ma basarsi su ciò che il territorio offre” cercando di preservare il meglio anche se tutto attorno cambia.

La rivincita del vino marchigiano

Le terre della famiglia De Angelis sono frutto di sacrifici e riscatto. A prenderle in gestione e a lavorarli, dopo l'epoca della mezzadria, è stato nonno Amilcare De Angelis che dal 1952 rimette in piedi un pensiero, quello di fare del vino buono da vendere. Era certamente l’epoca dello sfuso – un’esigenza territoriale altamente monetizzabile, fortuna di alcune famiglie viticole marchigiane- quindi una buona parte veniva destinata a un consumo veloce e di sazietà, anche se qualche etichetta, fatta a mano, veniva imbottigliata in borgognotta e conservata per “tempi migliori". A farsi forza sono stati i figli e poi i nipoti, nel momento giusto, quello in cui la bottiglia è diventata la scelta necessaria per fare la differenza. Correva l'anno 1997 e in questa fase il marchio Il Conte Villa Prandone è stato proiettato in un nuovo universo, quello del mercato estero alla ricerca di vini interessanti e altamete territoriali. In questo mare magnum i rossi del Piceno, inconfondibili per olfatto e gusto, hanno saputo dire la loro, così come i bianchi freschi e d’annata, con qualche bella sorpresa longeva. Ad esempio il Pecorino Navicchio 2000 -dopo 23 anni ancora in grande forma- ha cambiato un po’ il suo stile in bottiglia, smussando quella parte quasi "modaiola" del passaggio in legno a tutti i costi.

250 mila bottiglie prodotte -con un potenziale di 500 mila bottiglie annue- questi sono i numeri che fanno la differenza e arrivano essenzialmente all’estero dove, a detta di Mara Bastiani De Angelis export manager aziendale, il 68% piace negli States e Canada, di crisi di rossi qui non se ne parla. In Italia, ad oggi, i vini di Lu Kont restano nella misura del 32% essenzialmente nel centro Italia. Una situazione in pieno fermento che risente di scelte aziendali volte a restare un po' di più a casa per raccontare le Marche che non ti aspetti, forse complice il tempo pandemico. Proprio negli ultimi anni di stop forzato dai lunghi viaggi fatti con bottiglie in valigia, i quattro fratelli si sono interrogati sulla direzione da prendere e sul "che sarà di noi". Ecco quindi, come alcune scelte sono state riviste, il restyling di etichette e logo si è rivelato necessario, così come le strategie di comunicazione mirate a raggiungere obiettivi futuri sempre più ambiziosi. Su tutto però, un imperativo categorico, mantenere la barra dritta sulla qualità.

Le etichette oggi

Le 12 espressioni che l'azienda oggi produce ricalca stili differenti e il territorio sempre in testa e, ca va sans dire, in bottiglia. Ad assicurarsi che tutto vada così è il winemaker Emmanuel De Angelis. Dallo spumante Emanuel Maria fino all'etichetta di pregio da singolo vigneto, nulla si lascia mai al caso. Una scelta, quella di avere così tante espressioni aziendali, secondo Emmanuel funge da allenamento “Ci permette di guardare bene a ogni singolo errore che commettiamo e chiaramente, di rimediare, migliorandoci”. Una filosofia basata sul non dimenticare, piuttosto a fare tesoro di ciò che è stato riportando ogni esperienza dalla vigna alla vendita, passando per la cantina.

L’azienda è a trazione rossi -con qualche incursione bianca piacevolmente interessante- la maggior parte improntati a portare avanti il metodo Lu Kont. Si tratta di un simbolo, un vero e proprio marchio di fabbrica che coinvolge l'utilizzo del cemento. Dal soprannome che viene tramandato da generazione in generazione dei De Angelis, Lu Kont è anche un vino prodotto da vigneti di Montepulciano di 52 anni piantate larghe a 2 metri l’una dall’altra. Un omaggio a nonno Amilcare De Angelis che quel vino lo ha visto nascere, ma non arrivare sul mercato nel 2010. La particolarità sta nel processo di produzione che consta di un passaggio in cemento per completare l'affinamento. Nel caso dell'etichetta Lu Kont dopo un passaggio in barrique di rovere per 15 mesi e dopo ritorna in cemento per i successivi 12 mesi. Lo scambio permette di arrotondare il tannino e dare un'impronta autentica in grado di preservare tutti gli aromi originari e la trama tannica. 

Perché i vini piacciono

I vini de Lu Kont piacciono perché sanno sconfinare con eleganza, raccontano l’essenza del Piceno ma non fanno sentire la mancanza del 100% autoctono. Sanno ben rimbalzare da un Merlot come vino di eccellenza pura come IX Prandone -prodotto in pochissimi esemplari e con un doppio passaggio in cemento proprio come il metodo Lu Kont vuole- fino a un Sauvignon delle Marche, il neonato Belva di Terra che ha fatto il suo esordio al Vinitaly 2023. Insomma, tutto ciò che passa in cantina de Il Conte Villa Prandone si veste quasi a festa e funziona bene. Il mercato infatti, inizia a dare feedback positivi su questo tipo di prodotto che esce fuori dalla comfort zone sempre alla ricerca di etichette super blasonate e di zone viticole all’apice. Il piccolo, il bello, l’autentico e il sostenibile sarà il futuro, proprio ciò che il territorio marchigiano sa già ben esprimere.


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