Vino e Alto Adige- 6 cantine per un’immersione totale nella bellezza
L’essenza dell’Alto Adige è certamente il vino, ma non solo. Qui si nasconde un prezioso patrimonio umano fatto di perseveranza, conoscenza,...
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Parlare di Capitanata significa muoversi in punta di piedi in un territorio estremamente complicato ma è qui che nei prossimi anni si scriverà il futuro del turismo enogastronomico di Puglia. A San Severo si lavora da anni in tal senso e a credere in lungimiranti obiettivi è la "new generation" delle bollicine di Puglia che a fermarsi solo ai primi successi proprio non ci sta.
La chiamano terra emergente ed è la Puglia diversa da quella che siamo stati abituati a conoscere. Stavolta non si parlerà di sole, mare, vento, elementi iconici regionali che diventano quasi una bandiera, quella più comunicata. A nord della Puglia, all’ombra del Gargano e dei Monti Dauni c’è tutto un altro mondo da scoprire che parla la lingua del vino di qualità, spesso nascosto da un passato ingombrante fatto di grandi carichi di uve diretti verso terre e bottiglie blasonate. Nella provincia dei vini da taglio c’è possibilità di riscatto? Certamente, San Severo è la dimostrazione che dalla quantità fine a se stessa si può stravolgere il tutto e puntare a una rivoluzione fine, proprio come le bollicine da metodo classico simbolo della città.
San Severo è sempre stata una terra di passaggio e di transumanza tra Molise e Campania. Con un glorioso passato alle spalle come capoluogo storico della Capitanata, importante avamposto commerciale, è ricca non solo dal punto di vista economico ma anche storico e culturale. Tra antichi palazzi dal gusto barocco e i granai ancora a vista per la città, si parla di una comunità che ha saputo costruire la sua fortuna all’insegna dell’agricoltura e la fatica del lavoro nei campi d’inverno ed estate. Ma qual è il ruolo del vino in questa storia?
Percorrendo il tavoliere austero con i suoi campi di grano interminabili si arriva in vere e proprie oasi dove la vigna fa da padrona. Dagli 80 ai 160 metri slm il territorio eletto di San Severo prende forza dalle montagne e anche dal mare, creando delle condizioni termiche ideali per favorire la coltivazione e perfetta maturazione delle uve. Il terreno è variabile a seconda delle altitudini, andando dal calcareo argilloso fino al sabbioso, si rivela perfetto per vitigni a bacca rossa e bianca, rigorosamente coltivati a tendone, ottimo per proteggere le uve dal caldo e per una produzione intensiva, tratto importante del racconto.
Montepulciano, Sangiovese, Nero di Troia, Bombino, Trebbiano e con qualche incursione di Falanghina, sono i protagonisti indiscussi della viticultura sanseverese, tant’è che in un epoca in cui in Puglia l’argomento disciplinare e di denominazione sembrava essere un tabù, qui si è sentito il bisogno di “darsi proprio una regolata”. Ecco come nel 1968 nasce la San Severo Doc che ha segnato un punto di svolta per i vignaioli del tempo che non solo conferivano le uve dei propri terreni verso le cooperative della città e dintorni che ancora oggi operano alla grande, ma che iniziavano a ragionare anche sulle bottiglie che avrebbero raccontato il territorio, un lavoro orientato verso la qualità e non più esclusivamente alla quantità. La rivoluzione è iniziata così.
San Severo sta rinascendo grazie a delle lungimiranti menti che hanno fatto della terra un’opportunità di crescita non solo personale. È la storia della famiglia D’Alfonso Dal Sordo, della tradizione che si incontra con il pensiero rivoluzionario del tempo e di una consapevolezza data dallo studio. Oggi nelle mani di Gianfelice D’Alfonso Dal Sordo, la cantina ha alle sue spalle una storia fatta di conferimenti di uva verso altre terre, ma anche della voglia di riscattare l’autoctono sotto il segno del Nero di Troia e di una giovane guida come Luigi Moio le cui buone intuizioni hanno contribuito a sigillare il successo. Fu proprio qui che negli anni Settanta si iniziò a pensare a uno spumante ma con un vitigno diverso dai classici. Il Bombino Bianco, l’autoctono, figlio del tendone, il famoso pagadebit, fu il prescelto per un esperimento condotto in metodo Charmat e sulla base dei risultati ottenuti, ecco l’illuminazione: lo spumante da Bombino Bianco.
il risultato fu perfetto e bisognava solo crederci nel progetto. Forti di un mercato ben avviato e di una determinazione senza pari la pratica spumantistica si affiancò alla produzione di cantina che raccontavano San Severo in bottiglia.
Sulla scia di questo successo e con una passione per il buon vino, tre amici di San Severo musicisti, ebbero un’altra illuminazione: creare le bollicine pugliesi da metodo classico. Era il 1979 e da questo sogno un po’ folle nacque il brand d’Araprì che sdoganò le bollicine pugliesi con forza, eleganza e ritorno alle origini, quando in città, nelle cantine sotterranee dette ipogee, nascevano soltanto le cuvée da esportare in Francia per gli champagne.
Un cammino quarantennale che ha portato vigneto dopo vigneto, bottiglia dopo bottiglia, a valorizzare il territorio e a dare un lustro del tutto nuovo a una città rimasta fin troppo nell’ombra. Una follia? Probabilmente si, ma quel pizzico di lungimiranza oggi ha scritto una nuova pagina nella storia sanseverese e vede la seconda generazione dei tre amici partecipare attivamente a quello che loro, dal nulla, non avrebbero mai pensato di creare.
Le bollicine Sanseveresi hanno fatto molta strada in questi anni e i produttori che hanno scelto la via del metodo classico, di esperimenti più o meno lungimiranti ce ne sono stati tanti. Lavorare con l’autoctono di Puglia è necessario perché avere una storia da raccontare, magari comune ad altri conterranei, è sinonimo di forza e si sa, più si è meglio si fa.
Ad oggi a fare spumante a San Severo sono oltre 14 cantine con una produzione annua di oltre 200 000 bottiglie. Si punta sempre più alla qualità, alla finezza e a un mercato sempre più consapevole, dedicato ai veri appassionati di bollicine italiane. La parola d’ordine che si ripete tra i cunicoli sotterranei delle cantine ipogee è qualità, qualità e qualità. Non c’è altra via per poter emergere da una storia così particolare come quella della città se non con i fatti. La new generation delle bollicine sanseveresi ne fa un mantra.
Tra tutti ci sono Antonio Pisante e Leonardo Battello, uniti sotto il brand Pisan Battell da pronunciare alla maniera sanseverese, hanno unito la loro esperienza per fare degli spumanti ancora più caratteristici e in grado di raccontare il territorio nella sua durezza e senza sovrastrutture. Falanghina, Nero di Troia e l’immancabile Bombino Bianco, sono i soldati che marciano verso un futuro che si affina nelle cantine ipogee e che è pronto a spiccare il volo ma tutto questo non basta se la squadra non è coesa verso l’obiettivo. Storia vecchia quella dei consorzi che tanto hanno salvato il destino di alcune denominazioni e che le hanno rilanciate. Anche su San Severo potrebbe essere un’ipotesi? Certamente e Antonio Pisante ci crede davvero nella sinergia, quindi non solo far bene per il proprio brand ma anche per un fine comune, rilanciare la città di San Severo come polo d’attrazione dal punto di vista enoturistico e culturale.
Non serve spiegare che più affluenza c’è e più ci guadagna una città che prende forza proprio da qui, dalla terra e poi dalle bollicine. Risultato? Da 200 000 bottiglie si potrebbe arrivare tranquillamente al milione e iniziare ad avere maggiore voce in capitolo nell’Olimpo delle bollicine italiane. La strada sembra essere quella giusta e il cammino, seppur impervio, non sembra spaventare la new generation che ha scritto il suo futuro tra le bolle.
Le bollicine di San Severo: un’opportunità da non perdere per rilanciare la Capitanata? |
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